TESTO DELLA DOTT.SSA ROSITA TROTTI
SPECIALISTA IN BIOLOGIA CLINICA
MITO E REALTA’ DELL’ EMOFILIA A, MALATTIA “REALE”
Molte paure per una patologia per fortuna rarissima e che si può escludere con un semplice
esame del sangue. Divenuta famosa come la “Royal Disease” per i suoi effetti devastanti fra le dinastie monarchiche europee, l’ emofilia non è una malattia ad esclusivo appannaggio della nostra specie. Le forme osservabili nel cane (emofilia A e B) presentano infatti molte analogie con quelle umane, a
conferma della ormai assodata “somiglianza” genetica tra le due specie. Entrambe a trasmissione
ereditaria e riconducibili a mutazioni di un gene situato sul cromosoma sessuale X, emofilia A e B
predispongono chi ne è affetto a sanguinamenti di varia entità. In questa sede ci occuperemo dell’emofilia A, la più frequente sia nell’ uomo sia nel cane, determinata da una carenza totale o
parziale di attività del Fattore VIII, proteina prodotta dal fegato, indispensabile perché il sangue
possa coagulare.
Pur rappresentando per frequenza il secondo disturbo coagulativo ereditario nella specie canina
dopo la malattia di Von Willebrand, l’emofilia A, che viene segnalata in più di sessanta razze,
come pure nei meticci, è in realtà e per fortuna una malattia piuttosto rara. Si può inoltre
facilmente diagnosticare con un semplice esame del sangue, anche quando si presenta nella forma
lieve, caratterizzata a volte dall’ assenza di sintomi.
COME VIENE TRASMESSA L’ EMOFILIA A
Come si è detto l’ emofilia A è una malattia a trasmissione ereditaria. Nel cane come nell’ uomo il
meccanismo è di tipo recessivo, legato al cromosoma sessuale X (si parla perciò di eredità “Xlinked”,
cioè legata all’X, come pure di eredità “diaginica”, dai prefissi greci “dia”, attraverso, e “gyn”, donna) presente singolarmente nei maschi (XY) e in dose doppia (XX) nelle femmine. Ne
consegue che i maschi che ereditano un cromosoma X portatore del difetto sono sicuramente
emofilici, mentre la femmina in una situazione analoga risulta portatrice sana (“carrier”), in quanto
il cromosoma “indenne” sopperisce alla carente/difettosa produzione di fattore VIII da parte del
cromosoma omologo. In altre parole, le femmine portatrici sono protette dal cromosoma normale,
che riesce a produrre una quantità di fattore VIII sufficiente per una normale coagulazione.
Rarissimi sono i casi di femmine emofiliche, che si presentano solo quando un maschio malato
viene accoppiato con una portatrice sana.
CARATTERISTICHE DELL’ EMOFILIA A
Come tutte le malattie ereditarie che coinvolgono il cromosoma X, anche l’ emofilia A presenta le
seguenti caratteristiche:
- colpisce quasi esclusivamente i maschi;
- i maschi affetti di solito nascono da genitori sani. Normalmente la madre è una portatrice sana
(eterozigote asintomatica) e può avere parenti maschi affetti;
- l’ emofilia A nelle femmine è rarissima e si verifica quando un maschio malato viene
accoppiato con una portatrice sana;
- nell’ albero genealogico non c’è mai trasmissione da maschio a maschio;
- i geni mutati sono trasmessi dal padre malato alle figlie che possono trasmetterli ai propri figli
nel 50% dei casi;
- in una famiglia, tutti i maschi affetti sono tra loro collegati dalle femmine;
- è elevata la frequenza di nuove mutazioni.
Come si è detto, l’ emofilia A è per fortuna piuttosto rara nel cane, in analogia con quanto accade
nella specie umana, in cui, statisticamente, risultano affetti circa 4,8 pazienti ogni 100.000 abitanti,
molto più rara di altre malattie a trasmissione ereditaria, come l’epilessia o la displasia dell’ anca
che, in alcune razze, può arrivare ad interessare oltre il 50 % dei soggetti!
COME SI PRESENTA
L’ emofilia A si presenta in tre forme, classificate in base alla gravità, che è a sua volta
proporzionale al difetto genetico:
a) grave (attività del Fattore VIII < 1%), in cui vi è un prolungato e grave sanguinamento, che può avvenire dopo anche traumi lievi o, addirittura, spontaneamente. I soggetti che ne sono affetti
generalmente nascono morti o muoiono nei primi giorni di vita;
b) moderata (attività del Fattore VIII compresa tra l’ 1 % ed il 5 %), ove il sanguinamento si
verifica in occasione di traumi di una certa entità, come, ad esempio, al passaggio alla dentizione
adulta.
c) lieve (attività del Fattore VIII compresa tra il 5 % ed il 40 %), in cui il sanguinamento si verifica
solo dopo traumi gravi.
In corso di emofilia si possono osservare emorragie interne, a carico di organi ed apparati, come
pure suggestive raccolte di sangue e di ematomi a livello delle articolazioni (emartri).
Ma l’emofilia A non è l’unica condizione in cui la coagulazione risulta difettosa. Al di là del Fattore
VIII, la cui carenza/difetto funzionale è, come si è detto, alla base della malattia, la coagulazione
implica infatti l’ intervento di numerosi altri fattori, che, a cascata, intervengono per il corretto
svolgimento del processo, come tanti anelli di una catena. Quando ne viene a mancare uno, la
coagulazione risulta difettosa o assente. La diagnosi di emofilia A non è dunque sempre così scontata, ma è intuitivo che distinguerla dalle altre coagulopatie è cruciale per impostare la corretta
terapia, che consiste nella somministrazione diretta del Fattore VIII nel sangue del soggetto
malato. A complicare il quadro, il fatto che il Fattore VIII può risultare carente in situazioni diverse
dall’ emofilia A, per esempio, in seguito a terapie farmacologiche, come pure in presenza di
problemi a livello del fegato, organo che lo produce, o, ancora, in corso di CID (Coagulopatia
Intravascolare Disseminata), evento drammatico che può portare alla morte del soggetto, né più né meno delle forme più gravi di Emofilia. Fatte queste premesse, e trattandosi l’ emofilia A di una
malattia a trasmissione ereditaria, è abbastanza intuitivo anche per un profano che una diagnosi
esatta presuppone che, alle indagini di laboratorio, venga associato l’esame clinico del paziente
(visita, esami di laboratorio per escludere malattie di fegato, reni, ecc.) e lo studio del suo albero
genealogico. Senza un’attenta valutazione del soggetto malato, il dosaggio del Fattore VIII può infatti risultare addirittura fuorviante e portare ad un ritardo della diagnosi o ad un mancato
riconoscimento del vero problema!
COME IDENTIFICARE I SOGGETTI MALATI E I “CARRIERS”
Sul dibattuto problema dell’ emofilia A ho avuto recentemente uno stimolante e ricco scambio di
opinioni con la dott.ssa Marjory Brooks, direttore del laboratorio di “Comparative Cogulation” della prestigiosa Cornell University di Ithaca (New York), opinion leader a livello mondiale delle
coagulopatie ereditarie negli animali d’ affezione, autrice di numerosi articoli scientifici sull’ argomento, pubblicati da prestigiose riviste internazionali. “Per quanto riguarda la nostra
esperienza negli Stati Uniti – esordisce la dott.ssa Brooks – la maggior parte dei veri “nuovi” casi
di Emofilia A deriva da mutazioni spontanee recenti. A questi devono però aggiungersi i casi
derivanti dalla propagazione della malattia ad opera dei maschi affetti da forme lievi (che possono
restare misconosciute per anni o, addirittura, per tutta la vita del soggetto, n.d.r.), e delle femmine
portatrici”. In effetti, quello dei maschi asintomatici è un problema di grande portata ai fini della
propagazione della malattia se si pensa al potenziale riproduttivo che porta con sé uno stallone.
E allora: come escludere che un maschio apparentemente sano sia affetto da emofilia A?
“La malattia - prosegue la dott.ssa Brooks - può essere esclusa con la semplice determinazione
dell’ aPTT (test che viene effettuato di routine e che costa pochi Euro, espressione della cosiddetta
via “intrinseca” della coagulazione e dell’ attività del Fattore VIII. Si esprime in secondi e in caso di
emofilia A risulta aumentato, n.d.r.). La validità diagnostica è garantita a patto che il test venga
effettuato presso un laboratorio veterinario o che, comunque, si utilizzino plasmi di controllo e
valori di riferimento riferibili alla specie canina. L’ aPTT del cane in situazioni di normalitàè infatti accorciato rispetto a quello umano. Questo significa che un range di 25’’-35’’, normale per
l’ uomo, risulta patologico nel cane”.
E se l’ aPTT risulta allungato? “Una volta escluse le altre condizioni responsabili di un’alterazione di tale parametro - prosegue la dott.ssa Brooks -, la conferma diagnostica di emofilia
A poggia su un test di secondo livello, che prevede il dosaggio del FVIII, normale nei nostri cani
sani in un ambito compreso tra il 50% ed il 200% di attività, simile a quello osservabile nell’ uomo.
Un range piuttosto ampio che, se permette di confermare facilmente lo stato di malattia, in cui il
Fattore VIII presenta valori bassissimi, rende invece più difficile l’identificazione dello stato di “carrier” in una percentuale significativa di casi. Esiste infatti un’ ampia zona “grigia” di
sovrapposizione (“overlapping”) tra i valori di Fattore VIII osservabili nelle femmine sane e nelle
carriers”.
In parole povere: in molti casi, i livelli di Fattore VIII sono uguali nei due gruppi, femmine sane e
femmine portatrici, impedendone la distinzione. La condizione di “carrier” sarebbe identificabile
con certezza solo con un test diagnostico di genetica molecolare, attualmente non disponibile, in
grado di evidenziare la mutazione all’ origine del difetto. In effetti, se numerosi sono stati e sono
tuttora gli sforzi per mettere a punto un test diagnostico di genetica molecolare, questo obiettivo non è stato ancora realizzato a causa dall’estrema mutabilità del tratto di DNA interessato, situato sul
cromosoma X. Sotto il termine di Emofilia A si contempla in effetti un ampio spettro di
condizioni che possono ricondurre a mutazioni diverse, anche all’ interno della stessa razza, tutte
però accomunate dalla capacità di determinare un deficit quali/quantitativo di Fattore VIII, e per
ognuna delle quali sarebbe necessario disporre di un test specifico. Questo, tra l’ altro, spiega l’estrema varietà dei quadri clinici che, come abbiamo visto, vanno dalle forme inapparenti a quelle
incompatibili con la vita, che portano a morte intra-uterina o nei primi giorni dopo la nascita.
Quanto più lungo sarà il tratto di DNA compromesso, tanto maggiore sarà la gravità del quadro
clinico.
“Per migliorare le probabilità di identificare le femmine portatrici- conclude la dott.ssa Brooks-,
si può associare al dosaggio del Fattore VIII, il rapporto Fattore VIII/Fattore di von Willebrand,
ma in questo caso ritengo che il potere predittivo non sia più di tanto superiore a quello basato
sullo studio dell’ albero genealogico”.
Proprio a tale proposito, e a conferma di quanto appena asserito, si riferisce l’ esperienza di un
gruppo di ricercatori dell’Università di Hannover che hanno segnalato la scoperta in un Pastore
Tedesco affetto da emofilia di una mutazione a livello del gene che regola la produzione di
Fattore VIII. Nonostante ciò, gli stessi ricercatori risultano possibilisti, senza avanzare pretese di
certezza, circa il fatto che la mutazione evidenziata, pur essendo l’ unica presente nel soggetto
studiato, possa rivestire un ruolo patogenetico per l’emofilia A per la razza. E ciò, in quanto nonè stato loro possibile confrontare il DNA del cane malato con quello dei suoi consanguinei,
fondamentale per una verifica di parentela.
IL PARERE DEL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE TECNICA CENTRALE DELL’ ENCI
La scarsa o non corretta informazione riguardo agli aspetti relativi allo stato di salute/malattia,
genera spesso, in ambito veterinario, come in quello umano, allarmismi e climi da “caccia alle
streghe”, che non giovano sicuramente alla corretta gestione del problema ed alla sua risoluzione.
E’ quanto è accaduto e rischia di accadere ancora per l’ emofilia. A tale proposito valga
l’aneddotica. Chi non ricorda gli effetti devastanti che la comparsa della malattia ebbe sulla dinastia
dei Romanov nella Russia del XX secolo, dove la superstizione che la malattia fosse l’ effetto di
una punizione divina contribuì a decretare la fine degli Zar?
L’ ENCI ha istituito da anni un regolamento per il controllo diagnostico delle malattie ereditarie,
coagulopatie incluse, dei cani iscritti al Libro Genealogico Italiano.
Proprio al problema dell’ emofilia A è stato dedicato di recente un Convegno destinato
principalmente agli allevatori, cui sono intervenuti in qualità di relatori esperti italiani e stranieri
della disciplina. L’ evento, realizzato in concomitanza con l’Esposizione Internazionale di Verona, è stato promosso dalla Commissione Tecnica Centrale (CTC) dell’ ENCI, che ne ha curato l’organizzazione, ed ha rappresentato un momento informativo ed educativo importante.
“Ritengo che l’evento abbia raggiunto gli obiettivi che ci eravamo posti – ha sottolineato a tale
proposito il prof. Luigi Guidobono Cavalchini, Presidente della CTC e chairman del Convegno– e che i partecipanti abbiano potuto migliorare le proprie conoscenze sui vari aspetti della malattia e
sulle strategie da adottare per circoscriverla, come l’esclusione dalla riproduzione sia degli stalloni
malati sia delle femmine portatrici, unica arma a nostra disposizione per impedirne la
propagazione. Questo richiede senza dubbio una presa di coscienza etica da parte dell’ allevatore,
senza drammatizzare il problema, che prima o poi può capitare a chiunque. E’ bene poi ricordare
che le International Breeding Strategies della FCI raccomandano che solo cani sani vengano
utilizzati in riproduzione, in modo da evitare accoppiamenti a rischio di prole affetta da malattie
ereditarie. A tale proposito – conclude il prof. Cavalchini – ritengo che, se l’ educazione richiede
più tempo dei metodi coercitivi, cui hanno preferito ricorrere altri Paesi per arginare più rapidamente il fenomeno, alla lunga dia risultati migliori e più duraturi”.
IL “COMPARATIVE COAGULATION LABORATORY “ DELLA CORNELL
UNIVERSITY DI ITHACA (NY)
Alla pagina web del “Comparative Coagulation Laboratory” viene presentato il servizio diretto
dalla dott.ssa Marjory Brooks con la descrizione delle attività svolte (indagini eseguite, messa a
punto di nuove tecniche diagnostiche, ecc.).
In questa sezione, il visitatore (medico veterinario, allevatore, proprietario) può acquisire
informazioni inerenti al tipo di campione da utilizzare per la diagnostica delle coagulopatie, a
seconda delle specie interessate, come pure alle criticità legate alla sua raccolta (tipo di
anticoagulante da utilizzare, temperatura cui conservare il campione durante il trasporto, tempo
massimo che deve intercorrere per la sua consegna al laboratorio, ecc.).
La maggior parte delle analisi viene eseguita in giornata ed i risultati consultabili on-line, previa
registrazione al sito, entro 24 h dalla presa in carico del campione. Per le indagini relative al Fattore
di von Willebrand il referto è disponibile entro le 48 ore.
Una considerazione tutt’altro che trascurabile: il pannello completo dei tests coagulativi per la
diagnosi di entrambe le forme di Emofilia (A + B) nei piccoli animali (cani e gatti),
comprendente: aPTT, PT, TCT, Fattore VIII, Fattore IX:C, vWF:Ag, viene “venduto” a 59,5
dollari che, tradotti al cambio attuale, corrispondono a 44,5 Euro, vale a dire praticamente la metà
del costo (87,3 Euro), riferibile all’ effettuazione di due soli tests, Fattore VIII e vWF:Ag, per la
sola diagnosi di emofilia A, che in Italia deve affrontare chi vuole sottoporre il proprio cane ad uno
screening “volontario” per questa coagulopatia.
Lasciamo al lettore ogni considerazione e commento…
BIBLIOGRAFIA
- M.B. Brooks et al. Cosegregation of a Factor VIII Microsatellite Marker with Mild
Hemophilia A in Golden Retriever Dogs. J Vet Intern Med 2005;19:205–210.
- M.B. Brooks et al. Indirect carrier detection of canine haemophilia A using factor VIII
microsatellite markers. Animal Genetics 2008;39:278–283.
- R. Mischke et al. Canine haemophilia A caused by a mutation leading to a stop codon.Vet Rec.
2011;169:496b.
Per saperne di più:
http://ahdc.vet.cornell.edu/
GLOSSARIO DI GENETICA
- Congenito. Si dice in riferimento ad un carattere o ad una condizione presente dalla nascita.
Può essere ereditario, cioè trasmesso dai genitori, oppure no. I due termini non sono, quindi,
sinonimi.
- Ereditario. Si dice di qualsiasi carattere o condizione che può essere trasmesso dai genitori
ai figli.
- Cromosoma. Organello contenuto nel nucleo della cellula in cui è compattato il DNA. I
cromosomi si trovano in coppie nelle cellule corporee,o somatiche, mentre sono singoli
nelle cellule sessuali,o gameti, (uovo e spermatozoo). Il numero delle coppie di cromosomi è specifico per ciascuna specie e non è modificabile: l’uomo ne ha 23, mentre il cane ne
possiede 39, per un totale di 78 cromosomi.
- Cromosomi sessuali: sono i due cromosomi che determinano il sesso di un individuo. Nei
mammiferi il maschio è caratterizzato dai cromosomi XY, la femmina XX. Sono presenti
singolarmente nelle cellule sessuali o gameti.
- Autosomi: altro termine per definire i cromosomi “somatici”, cioè appartenenti alle cellule
corporee. Si contrappone al termine “sessuali”.
- DNA (desoxiribonucleic acid). Rappresenta l’ unità strutturale dei cromosomi e racchiude l’ intero corredo genetico di un individuo, detto genotipo, cioè le “istruzioni” ereditate dai
genitori e necessarie per “fabbricare” un organismo. Si presenta come una struttura a doppia
elica ed è localizzato nel nucleo di ogni cellula. Il genotipo di un individuo nonè modificabile.
- Geni: segmenti di DNA che regolano la produzione e la funzionalità di polipeptidi e
proteine.
- Alleli. Rappresentano le varie forme alternative di un gene. Un individuo ne può presentare
comunque solo due, ereditati uno dal padre e l’altro dalla madre. I due alleli che
costituiscono un gene occupano sul cromosoma una posizione specifica detta locus (dal
latino “locus”, “luogo”). Per convenzione, geni e loci vengono indicati con le lettere dell’ alfabeto. Le possibili combinazioni degli alleli sono alla base della variabilità genetica di un
individuo e da esse dipende il suo fenotipo. Il fenotipo è la manifestazione fisica di un
carattere genetico, ciò che vediamo, determinata da uno specifico genotipo e dalla sua
interazione con l’ambiente. Anche una malattia costituisce un aspetto fenotipico. Gli alleli
vengono espressi in forma maiuscola o minuscola a seconda che ci trovi di fronte ad un
allele “dominante” o ad un allele “recessivo”. Nel primo caso, il carattere ereditario (es.
colore del mantello) sarà visibile anche quando l’allele proviene da uno solo dei due
genitori (in termine tecnico si dice che è presente in “dose singola” o allo stato “eterozigote”). Nel secondo caso, il carattere ereditario sarà visibile solo quando lo stesso
allele proviene da entrambi i genitori, se, cioè, è presente in “dose doppia”o allo stato “omozigote”.
- Omozigote. Si dice di un individuo che possiede due alleli uguali per un determinato gene.
- Eterozigote. Si dice di un individuo che possiede due alleli diversi per un determinato gene.